Dal libro
Secondo Tito Livio, nel 183 a.C., fu fondata la città dei Parma, colonia romana con 2000 famiglie guidate dai triumviri Marco Emilio Lepido, T. Ebuzio Caro, L. Quinto Crispino. La città fu aggregata alla tribù di Pollia. La fondazione romana portò con sé l'eco dell'occulto, universale e guerriero, della città eterna che agiva sui demoni e sugli dei, fabbricava talismani ed amuleti, ricorreva a filtri e incanti, praticando riti ed evocazioni. Questa magia era organizzata in sacerdozi, i cui rituali ebbero un substrato magico. Questi s’ispiravano a leggende in cui erano ravvisabili gli influssi di altre civiltà, come ad esempio la disciplina etrusca, il culto del dio Mitra e di Cibele. La devotio corrispondeva alla consacrazione di una persona agli dei, in modo tale da ottenere la comprensione divina; così il generale di un esercito si lanciava disarmato tra i nemici per essere ucciso, al fine di seminare con il suo sacrificio la morte tra i ranghi nemici, sulla base del precetto magico legato alla teoria che il simile genera il simile, contagiandolo. Nel rito dell'evocatio, invece, un capo militare doveva invitare le divinità che proteggevano le città nemiche ad abbandonarle, per essere accolte favorevolmente a Roma, dove sarebbero state certamente più venerate. Anche le azioni più semplici dell'esistenza romana implicavano un contatto con la sfera magica, in quanto tutto aveva un proprio genio tutelare. L'anno era suddiviso secondo regole astrologiche e la città stessa seguiva un impianto a carattere esoterico. Le porte della città erano collocate ai quattro punti cardinali, seguendo così un rito d'orientamento che creava uno spazio sacro, all'interno del quale era operante la tutela degli dei. Il primo tracciato urbano di Parma rispettò questo schema magico, seguendo il tradizionale sistema di assi ortogonali.
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